Quel giorno – diciamocelo – è stato l’inizio di una piccola rivoluzione. Una di quelle martellanti e incessanti, una di quelle capaci di cambiare tante cose. Era il 27 gennaio del 2010 (già 4 anni, tutti d’un soffio), e Steve Jobs, in una San Francisco che non era assolutamente al corrente di ciò che stava per succedere, si apprestava a svelare al mondo intero quello che sarebbe stato “battezzato” come l’iPad. Io ero davanti ad uno schermo, seguivo un liveblog. Via via venivano postate le foto di quella storica presentazione, ed appariva una sorta di “tavoletta magica”. Sembrava come un computer schiacciato e compresso, o forse come una sorta di iPhone ingrandito. Ma era un concetto nuovo, assolutamente nuovo. Perché – ricordiamolo – l’idea di tablet nacque proprio in quel contesto lì . Sì, il Wall Street Journal in fondo aveva ragione: “L’ultima volta che c’è stato un tale interesse per una tavola, aveva alcuni comandamenti scritti sopra”.
Lo volevo, ma c’era da attendere. Sarebbe stato messo in vendita (in America, tra l’altro) solo un paio di mesi dopo. Mesi che, tra un esame ed un altro, passavano via. Pure abbastanza veloci. E arriva il grande giorno, quello dell’esordio negli Apple Store. Code chilometriche – le immagini lo confermano – per migliaia e migliaia di cittadini americani che vogliono portare a casa quel device che sembra così perfetto.
Comincio a valutare i feedback di decine e decine di venditori di iPad, venuti fuori come funghi su eBay. Ad un certo punto scelgo quello che sembra il meno “truffaldino”, e faccio il grande passo. Ci sono da attendere “solamente” i tempi di una spedizione internazionale, ma pure quelli di un anonimo ed impronunciabile vulcano islandese (l’Eyjafjallajokull) che decide di mandare verso il cielo tonnellate e tonnellate di cenere che bloccano gli aerei di mezzo mondo. Per ripicca cancello un paio di canzoni dei Sigur Ros dal mio iPod.
Ma non può piovere per sempre, e la citazione vale anche per le piogge di cenere: quel pacco tanto desiderato, dopo un giro assurdo, arriva a casa mia. E l’iPad, finalmente, è nelle mie mani.
Sì, è vero: quella tavoletta era proprio magica, così come ne raccontavano.
Lo porto spesso con me (utile per prendere appunti durante una lezione, o per preparare un articolo anche seduto su una panchina, davanti al mare). La gente lo riconosce (in Italia non è ancora uscito, e non uscirà per ancora diverse settimane), e da lontano mi indica col dito puntato.
Me ne innamoro, poi ne scrivo pure un libro.
Insomma, cronache di una rivoluzione. E la conferma arriva, quasi un lustro dopo, dal fatto che un oggetto dapprima (praticamente) inesistente – quale il tablet – sottoforma di iPad o di prodotti della concorrenza si sia creato, in maniera del tutto autonoma, una fetta (usando un eufemismo) di mercato, riuscendo a vendere centinaia di milioni di esemplari e giungendo, praticamente, in ogni casa. Un nuovo modo di concepire la tecnologia e di averla, in ogni istante, a portata di mano. Un device strano, quasi ibrido, che è entrato nelle nostre vite e che difficilmente, a breve, potrà uscirne. Anche stavolta il buon vecchio Steve ci aveva visto lungo e il tablet, così come il telefono (nell’accezione “smart” del termine), può essere verosimilmente considerato come la sua eredità al mondo.