Per Gino Paoli, chi produce tablet deve pagare il compenso agli artisti

Il presidente della SIAE Gino Paoli ritiene che tutti i produttori di tablet debbano pagare un compenso per gli artisti, visto che ipoteticamente su questi dispositivi è possibile riprodurre della musica.

gino paoli siae

Ecco le parole del 79enne cantautore, rilasciate al Corriere.it: “la definizione è importante. Questa situazione è complicata perché ci sono troppi equivoci. Di sicuro non si tratta di una tassa sugli smartphone. E poi cosa vuol dire copia privata? Non l’ho capito. Qui si parla di compenso dell’autore. Gli equivoci sono nati per la propaganda delle multinazionali”.

Per Gino Paoli, quindi “... si tratta di un compenso in cambio della possibilità di effettuare una copia personale di registrazioni, tutelate dal diritto d’autore. Questo compenso, però, non deve essere a carico di chi acquista lo smartphone ma del produttore, che riceve un beneficio dal poter contenere sul proprio supporto un prodotto autorale come una canzone o un film. È previsto anche in Francia e Germania”.

Ad oggi, questo compenso già esiste e ammonta a 0,90€ per gli smartphone e a niente per i tablet. Con la modifica proposta dalla SIAE, e al vagii del ministero dei Beni Culturali, la tassa salirebbe a 5,20€+IVA per smartphone e tablet.

Il presidente della SIAE spiega: “si tratta di fissare la tariffa. In Italia il prelievo è pari allo 0,12% contro il 5,12% della Germania. Eppure smartphone e tablet da noi costano in certi casi anche di più. La battaglia di Confindustria Digitale punta a proteggere le multinazionali, che spesso non pagano nemmeno tutte le tasse in Italia e che di certo non producono qui. Mentre la Siae rappresenta un milione e mezzo di lavoratori, che paga le tasse in questo Paese. Dobbiamo ricordarci che l’industria culturale vale il 5% del nostro Pil. Quello che chiediamo non è una tassa. Quando prendiamo un taxi paghiamo la corsa e lo consideriamo il compenso per il servizio ricevuto, non una tassa”.

Insomma, per Gino Paoli è normale far pagare una tassa (al produttore o al consumatore poco cambia) su smartphone e tablet, solo perché questi dispositivi possono ipoteticamente essere utilizzati per riprodurre MP3. E se un utente non ascolterà mai musica sul proprio iPhone o iPad, perchè deve pagare (o farsi pagare…) questo “compenso” preventivo da dare agli artisti? E quando acquisto un brano su iTunes, forse non si pagano già i diritti d’autore?

Insomma, la SIAE deve un attimo aggiornassi sulla situazione e capire che il mercato della musica sta cambiando, e ora anche gli Mp3 rischiano di diventare vecchi e superati.

 

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