Domani arriva negli USA l’attesissimo libro del giornalista del Wall Street Journal Yukari Kane, “Haunted Empire: Apple After Steve Jobs”, dal quale emerge un ritratto dell’azienda non proprio positivo.
Dalle pagine del libro emerge quello che è il pensiero di Kane, uno dei massimi esperti e conoscitori del mondo Apple: l’azienda, dopo la morte di Steve Jobs, è entrata in un periodo di declino. Per provare questa tesi, Kane non ha elementi concreti, ma ha scelto una forma di racconto molto particolare degli aneddoti
Haunted Empire raramente loda Apple, e offre piuttosto una serie di capitoli sconnessi che saltano da un argomento all’altro per far capire al lettore quella che è la disorganizzazione dell’azienda da quanto manca la guida di Steve Jobs. Il libro si apre con la descrizione delle celebrazioni organizzate da Apple per ricordare Jobs subito dopo la sua morte. Subito dopo ci si concentra sui primi problemi di salute del co-fondatore di Apple, compresi i dettagli del suo colloqui privato con il giornalista del New York Times Joe Notera, uno dei primi a sapere della malattia.
Si continua quindi a descrivere come Jobs ha cominciato a muoversi sempre più a bordo campo, concentrandosi maggiormente sui medici e lasciando sempre più spazio a Tim Cook. Un primo banco di prova per l’attuale CEO di Apple ci fu nel gennaio del 2009, quando a margine di una conferenza sugli utili dell’azienda fu lui a prendere la parola e a dare inizio alla “Dottrina Cook”. Quel discorso piacque a Steve Jobs, anche se il suo forte ego gli fece in parte risentire del fatto che Apple stesse crescendo sotto la guida di Cook.
Per questo, Jobs decise di tornare alla fine di giugno del 2009 e di riprendersi il ruolo di figura cardine dell’azienda. Al suo primo giorni di rientro in Apple, Jobs iniziò a fare i “capricci”, urlando contro i dipendenti e strappando fogli contenenti i vari piani di marketing. Addirittura, quando lesse le critiche positive sulla performance di Cook e sul suo modo di dimostrare la leadership anche sul palco, Jobs si innervosì ancora di più. Il suo ego batteva l’amore per Apple e il sincero rispetto verso Cook.
Questo suo malumore divenne palese durante una riunione con tutti i dirigenti, quando urlò “Sono io il CEO!“.
Per continuare la sua tesi sul declino di Apple, Kane cita altri eventi che risalgono agli ultimi due anni di vita di Steve Jobs. Tra questi, l’iPhone 4 perduto da un ingegnere e mostrato da Gizmodo, l’antennagate, la diatriba infinita con Adobe Flash (“Anche se Apple aveva le sue ragioni” si legge nel libro “si è comportata come un gorilla di 300 chili. Può anche avere ragione a voler escludere Flash dall’iPad, ma il modo in cui lo ha fatto sembra quello di un oppressore e non di un innovatore tecnologico. La polemica con Adobe ha offuscato il marchio, che da quel momento ha impressa sul petto la stella di un impero e non più quella di una nave di pirati“).
Quando Steve Jobs si dimise da amministratore delegato, a poche settimane dalla sua morte, Cook iniziò bene il suo lavoro di CEO promuovendo Eddy Cue a vice presidente senior e avviando un programma di beneficenza per i meno fortunati. Subito dopo, però, Cook ha dovuto affrontare una serie di nuovi problemi, come la tiepida accogliendo di Siri introdotta con l’iPhone 4s, le pessime condizioni di lavoro alla Foxconn e le guerre di brevetto con Samsung, HTC e Nokia.
Kane dedica diversi capitoli alla battaglia legale tra Apple e Samsung, sostenendo che mentre Apple parla di vittorie in tribunale, lo sforzo si è alla fine rivelato infruttuoso perchè i giudici hanno sempre negato il blocco delle vendite dei dispositivi sudcoreani.
Come dimenticare poi il caso “Mappe”, accolto malamente da pubblico e critica, tanto che Cook fu obbligato a cambiare rotta licenziando Scott Forstall, il caso sui prezzi degli e-book (causato, in parte, da Steve Jobs) e tutte le questioni fiscali in America e in Europa.
Kane ha apprezzato Cook per la sua testimonianza al Senato degli Stati Uniti circa le questioni fiscali, ma per ora il CEO di Apple non ha lasciato il segno, visto che mancano nella sua lista prodotti in grado di generare l’effetto “how”. Anche lo sforzo di portare la produzione dei Mac negli Stati Uniti viene considerato come uno sviluppo minore.
Gli ultimi capitoli avvicinano il lettore ai giorni nostri, compreso uno sguardo critico all’intervento di Tim Cook datato maggio 2013, durante il D11. In quella occasione, il CEO di Apple si trovò a dover rispondere alle domande molto difficili di Walt Mossberg e Kara Swisher, che spaziarono tra i piani futuri dell’azienda, la concorrenza di Android e il peso delle guerre sui brevetti. La sua performance fu un disastro, secondo Kane, in quanto Cook parlò in modo confusionario, tanto da dare l’impressione di una Apple in difficoltà.
Si arriva poi a parlare del WWDC 2013, quando Apple presentò iOS 7. Kane si chiede se c’era davvero bisogno di un cambio così radicale e se davvero era lo scheuformismo il male di tutti i mali. Forse, con quel cambio radicale, Cook voleva far capire che era finita l’era di Forstall (e di Steve Jobs) e che sarebbe iniziata l’epoca di Cook.
Nell’epilogo scritto nel mese di novembre, Kane non ha dubbi sul fatto che Apple sia in declino, guidata da un nuovo che sta lavorando per portare a termine un compito impossibile, visto che non ci sono scintille nemmeno nel modo in cui presenta l’azienda al mondo: “La verità è che Apple è nata per essere eccezionale. Non necessariamente nei suo comportamenti, che spesso sono stati predatori, ma certamente nella sua capacità di ispirare. Quei giorni sono finiti. Fuori dalla cassa di risonanza del quartier generale in Cupertino, la nozione di eccezionalità dell’azienda è andata in frantumi”.
Sarà davvero così?