Il Corriere.it ha intervistato Chris Anderson, noto scrittore di fantascienza e soprattutto direttore della nota rivista Wired. Durante l’intervista non mancano spunti interessanti per tutti gli utenti della mela!
“La gente ha sempre paura del cambiamento — dice Anderson a CorriereTv – La tecnologia digitale distrugge i settori prima di crearne altri, ma offre anche molte più opportunità. Tempi difficili e entusiasmanti”.
Secondo Anderson le pubblicità online non sarebbero in grado di far recuperare ai media tradizionali i soldi persi proprio per la mancanza di introiti dalle pubblicità tradizionali. Si sta quindi migrando verso un nuovo modello di business, il freemium : l’uso di prodotti gratuiti per commercializzare quelli a pagamento: “L’aumento di pay wall (varchi di accesso a pagamento e applicazioni per iPad ndr) non rappresentano un rifiuto del concetto di gratuito, quanto di gratuito e sponsorizzato dalla pubblicità. Alla scadenza del periodo una parte del contenuto resta gratis e una parte va a pagamento, per i lettori più fedeli. L’esempio del Financial Times online è semplice: 10 storie al mese gratis, il resto lo paghi. Se lo visiti molto è chiaro che lo apprezzi e sei disposto a pagare. Diventa possibile generare un introito diretto dai clienti, anziché indiretto tramite gli inserzionisti. Non è chiaro ancora con quale equilibri avverrà la divisione tra gratis e a pagamento, con quali meccanismi e a che prezzi; credo però che questa soluzione possa funzionare per testate di spicco, non per tutte“.
«Il web sa far bene tante cose: è perfetto per potenziare la versione cartacea con contenuto a maggior frequenza e interazione. È essenziale che i media abbiano un sito web. Ma è bello sapere che non si tratta dell’unico modello di distribuzione. L’avvento di media complessi, come l’iPhone o l’iPad, rappresenta un modo per prendere il meglio della distribuzione digitale, come il basso costo e l’ampia raggiungibilità, insieme a un modello economico che verte molto di più attorno alle qualità diversificate di un contenuto articolato ed elevato».
L’impatto dell’iPad nel mondo dell’editoria sarà «molto grande. È la terza grande piattaforma informatica: pc, cellulare e ora il tablet. È un dispositivo molto diverso: tattile, esperienza quasi sensuale, con applicazioni “immersive”. In più l’iPad è personale: dà sensazione più di intrattenimento che di lavoro. Noi scommettiamo che se ne venderanno decine di milioni; che la gente vorrà leggere i media su questi dispositivi e che sarà disposta a pagare. Non tutti, ma una quantità sufficiente di lettori. In Usa l’iPad ha un successo enorme. Wired è stato uno dei primi a lanciare la rivista su iPad: la gente ha pagato 5 dollari, abbiamo venduto 100mila copie il primo mese».
«La domanda infatti è: che cos’è una rivista su iPad? Quando converti un giornale dalla stampa al tablet alcune cose restano uguali, come le parole o le foto, altre sono molto diverse: video, interattività, animazione, alternativa di visualizzazione, portrait o landscape. Siamo agli inizi per quel che riguarda la sfida creativa di re-immaginare un giornale con questo nuovo modello di distribuzione e interazione».
Tra dieci anni i ragazzi leggeranno i quotidiani?
«Non come oggi. Ne leggeranno svariati, probabilmente su dispositivi complessi. E i quotidiani potrebbero essere più simili a riviste giornaliere che non a notiziari. Per riuscire a fare, in 12 ore, qualcosa che il web non abbia già fatto. Anziché avere 30 giornalisti che seguono una storia, meglio 30 che trovano le proprie storie. I nostri figli avranno di sicuro un rapporto coi quotidiani: forse non cartacei, ma l’istituzione, la testata che dà autorevolezza, resterà e fornirà valore».
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